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Fraternità, Vangelo e incontri preziosi

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P. Benigno Franceschetti, saveriano bergamasco, con il suo modo sobrio ci parla, come se fossero spiccioli, dei 40 anni dalla prima partenza per il Camerun-Ciad. È la seconda volta che ho l’occasione di condividere con lui un po’ delle sue vacanze che di fatto si sono trasformate in una corsa frenetica: prima tamponi e quarantene, poi a inseguire la burocrazia per patenti e documenti in scadenza da rinnovare e visite mediche di controllo da passare. Ora, ha tanta voglia di rientrare in missione! p. Fiorenzo Raffaini, sx

Ricorrono quest’anno 40 anni dalla mia prima partenza in Camerun (5 settembre 1982), con una pausa di 8 anni in Italia per… avvicendamento.  Sono profondamente riconoscente al Signore per questi anni passati in missione, sia in Camerun che in Ciad, in un impegno di fraternità e di evangelizzazione.

Non si può annunciare il Vangelo se non si è partecipi della promozione umana dei fratelli presso cui siamo inviati. Gesù stesso non era indifferente al bisogno e alle sofferenze di chi lo cercava. In realtà, lui aveva un dono ben più grande da dare: la scoperta dell’amore e della tenerezza di Colui che ci ha chiamato alla vita e che vuole più di noi la pienezza della nostra riuscita, della nostra gioia, della nostra pace. Ma la missione cambia anche noi. Partiamo pensando di dare e torniamo consapevoli di avere ricevuto molto di più, in umanità e in testimonianza di fede. Abbiamo vissuto amicizie profonde e abbiamo scoperto, nelle culture dei popoli presso cui siamo vissuti, valori di sapienza e di umanità sorprendenti.

Innanzitutto, abbiamo trovato una cordiale accoglienza e una sincera disponibilità per un cammino interiore serio e generoso. Davanti ai tantissimi che chiedono il battesimo, si sente profondamente vero quanto Gesù diceva: “la messe è molta ma gli operai sono pochi”. È bello vedere le chiese gremite di folla e le celebrazioni animate con la vivacità tipica africana: ritmi, canti, colori, danze che comunicano la gioia di essere insieme e di vivere una grandiosa speranza fondata su di Lui.

A Douala, città porto di 6 milioni d’abitanti, da una parte abbiamo cercato di organizzare un catecumenato ben strutturato (quattro anni con tappe e celebrazioni significative); dall’altra abbiamo creato piccole comunità cristiane nei diversi quartieri per recuperare l’esperienza della fraternità e della solidarietà concreta, al di là delle diverse appartenenze etniche. Abbiamo impegnato il maggior numero di persone in un servizio gratuito e reciproco che ci fa essere Chiesa là dove siamo: condivisione viva della Parola di Dio, solidarietà con le sofferenze e le povertà presenti, ardore nella preghiera e nell’evangelizzazione dei fratelli e dei vicini... È vero che il povero è più libero e più disposto a scommettere su Gesù.

al Franceschetti 2022 ppTra i ricordi più belli, ci sono la Via Crucis del Venerdì Santo per le strade dei nostri quartieri. A ogni incrocio una nuova ondata di persone si aggiungeva a noi, non solo cristiani, ma anche protestanti, musulmani, simpatizzanti e curiosi di ogni tipo. Sentivano la sacralità della nostra preghiera e partecipavano anche loro alla nostra Speranza.
Ho vissuto profonde amicizie e il generoso impegno dei laici collaboratori: Ndouna Augustin, uno degli amici della prima ora, sempre pronto nel bisogno e tenace nelle difficoltà; Nyanthe Louis, il carismatico che ci aveva donato il terreno della prima cappella; Jeannette, animatrice della corale e madre del primo presbitero locale della parrocchia; Emmanuel E. Boniface, responsabile dei chierichetti, esigente con i ragazzi ma pieno di idee; Theophile, François de Paul, Jean Paul de Melong erano per noi gli interpreti degli Atti degli Apostoli!

E poi c’è l’esperienza del Ciad, dell’Africa dei villaggi, al nord, in un clima saheliano. È l’Africa delle capanne e della tradizione, con il metodo dell’oralità nel catecumenato, cioè delle pagine del Vangelo di Luca imparate a memoria, nella lingua e proclamate nella liturgia perché s’imprimano nella vita concreta, come i proverbi e i racconti della tradizione.                
Anche qui ho vissuto esperienze bellissime e incontrato persone speciali: Augustin Rouamou, paralizzato, in carrozzella da 20 anni, eppure catechista e animatore della sua comunità; Robert Kotsia, che ha trascorso 3 anni con la famiglia, a Doubane, un centro di formazione per animatori cristiani ed ora è il trascinatore di tutto il settore pastorale; Mousouka  Krya, donna piena di vita e di energia, con 8 figli, animatrice della corale e sempre disponibile per le iniziative della comunità; Maman Suzanne, paziente e saggia, è stata scelta come responsabile della sua comunità, cosa rara per una donna da queste parti; Mathieu è il catechista non vedente, che conosce a memoria tutto il vangelo di Luca; David Furizou percorre lunghe distanze su una bicicletta sgangherata, per aiutare una comunità che sta nascendo, nonostante il padre non vedente e la madre lebbrosa. E ancora Alphonse il maestro, Michel l’infermiere, Emmanuel Mousa e tanti, tanti altri che non dimenticherò e che sono i veri evangelizzatori della loro gente.

In questi anni ho imparato molto da loro. Ho imparato la semplicità del vivere e dell’arrangiarsi, senza tante cose che ci sembrano indispensabili, come il telefono, l’elettricità, l’acqua corrente, il frigorifero o l’automobile, privilegiando le relazioni umane, la comunicazione personale, l’amicizia, lo stare insieme. Ho imparato a disporre del mio tempo, senza correre come un forsennato per assicurare l’efficientismo organizzativo. Chiamavano pastorale della polvere il nostro correre da un villaggio all’altro per assicurare le celebrazioni, ma senza fermarci anche dopo, con calma, fra loro. Ho imparato l’amore alla vita, accolta sempre e difesa con tenacia come un dono grandissimo, al suo apparire ma anche in età avanzata. E poi la gioia di vivere, il senso della festa, i colori, la danza, il linguaggio del corpo per la lode, la preghiera e la comunione.

Ho imparato l’accoglienza, l’ospitalità, la solidarietà del povero e la grandezza del cuore. Ma, soprattutto, ho imparato il profondo rispetto di Dio, dell’invisibile, di queste presenze che ci avvolgono e che sono più vere di ciò che vediamo e tocchiamo. Ho imparato a fidarmi di Lui; non ti risparmia le croci, ma non ti abbandona mai.
Il rischio del nostro tempo, ma in fondo di ogni tempo, è di fare a meno di Dio. Ma cos’è un uomo senz’anima? Ci crediamo veramente che l’essere è più importante dell’avere e che la nostra più grande ricchezza è la fede? Grazie, Signore, perchè hai rivelato questi tuoi misteri ai piccoli e ai poveri!                  



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