“Desobriga”, il rito della visita periodica
Una delle nostre prime preoccupazioni era come continuare l’assistenza religiosa che era affidata a qualche presbitero o religioso che raramente visitava le parrocchie e le comunità sparse nell’interno. Quando sono arrivato, c’era solo il saveriano p. Vincenzo Mitidieri. Ci siamo divisi le attività, cercando di fare il possibile. La pastorale era una semplice assistenza religiosa: Messe, confessioni, visite agli ammalati, accompagnamento della catechesi e “desobriga”.
Quest’ultima consisteva appunto in una visita periodica alle comunità cristiane sparse lungo le numerose isole e nella foresta, in occasione della festa del loro Patrono. Si andava lungo i canali e fiumi, o nei villaggi, da una comunità all’altra, fermandosi il tempo necessario per incontrare i fedeli. L’arrivo del presbitero in una comunità era annunciato dallo scoppio di petardi. Egli visitava qualche ammalato più grave, conversava con le catechiste, celebrava l’Eucarestia, confessava, battezzava, dava le prime comunioni, celebrava matrimoni, orientava la comunità... Pensate che di notte finalmente potesse dormire? Assolutamente no! Per la gente era tempo di festa e passavano la notte con molta birra e al suono di alto-parlanti potenti. E il padre non riusciva a dormire! Quando terminava la visita, si ripartiva per un’altra avventura, altra gente, altri fedeli e tutto cominciava di nuovo. “Arrivederci... al prossimo anno!”. Infatti, la “desobriga” era prevista una volta l’anno.
Nella mentalità dei nostri fedeli, tutta la liturgia era affidata al missionario! Loro ubbidivano ma non muovevano un dito. Un giorno, in una comunità, ho chiesto: “Durante l’anno, quando il padre non c’è, chi dirige la comunità?”. Timidamente mi indicano una signora. “Perché, mentre io confesso, o visito qualche ammalato, lei non anima la comunità?”. Si guardano in faccia come a chiedersi che cosa stessi dicendo e chi fossero loro per animare una comunità, quando ero presente io. Non è stato facile, ma, poco alla volta, si sono dati coraggio, iniziando a cantare, a pregare e persino è apparso qualche strumento musicale. In breve, si realizza una celebrazione solenne e io accompagnavo divertito e soddisfatto!
La manutenzione della chiesetta di ogni piccola comunità, così come le altre opere sociali, anche se cadevano a pezzi, erano compito del missionario. “Chieda all’estero!”. Non è stato facile lottare contro questa mentalità. Poco alla volta, però, la gente ha capito: la chiesa è di tutti, non del padre! Quando sono arrivato nella mia missione di Abaetetuba, non c’erano ancora strade e meno ancora asfalto. L’unica strada era quella, piena di buche e fango, che andava da “Nossa Senhora do Tempo” ad Abaetetuba.
“Nossa Senhora do Tempo” era un piccolo porto, dove attraccavano le imbarcazioni che arrivavano da Belém. Generalmente erano ricevute con i mortaretti per augurare “buon viaggio”. Da qui si prendeva un camion che portava verso Abaeté, a circa 60 chilometri. Chi doveva andare in altre località, scendeva all’imboccatura dei rispettivi sentieri.