Carisma è missione: La parte migliore della missione
Mi manca. Sento una profonda nostalgia della sua presenza ogni volta che entro nella nostra chiesetta. Non lo vedo più là, seduto, una mano sull’altare e lo sguardo al tabernacolo, recitando preghiere a mezza voce. Padre Roberto Beduschi ha lasciato un vuoto grande. Eppure qui, nel nostro noviziato in Brasile, non aveva incarichi speciali; misurando con il metro della produzione, non faceva niente.
Ma è proprio questo “niente” che fa la sua grandezza evangelica.
Nei suoi 60 anni di sacerdozio missionario ha tanto lavorato, ha fatto tante cose; sopratutto ha evangelizzato con la parola, entusiasta e convincente. La sua catechesi era sempre ben preparata, con appunti precisi e aneddoti popolari. Insomma, ha fatto il missionario davvero, in Italia e in Brasile, nel servizio alle comunità cristiane e nell’annuncio ai non cristiani e anche negli impegni di formazione di giovani che si sono consacrati a Dio per la missione.
La gente lo ricorda per tutto quello che ha fatto; ed è giusto. Io però preferisco ricordarlo nel giorno in cui p. Roberto ha preso coscienza di non poter più “fare”: le parole uscivano sconnesse, il discorso incomprensibile; la debolezza non gli permetteva di celebrare in pubblico... Si ritirò nel silenzio di questo noviziato. Con serenità, senza rimpianti o recriminazioni, come se nulla fosse cambiato.
Eppure all’esterno tutto era cambiato: non più Messe in chiese stracolme di gente; non più corsi di formazione pastorale; non più visite a famiglie e malati; non più costruzione di chiese; non più... Ma in lui era rimasto "il più”: il suo essere missionario e sacerdote, il suo essere consacrato e appartenente al Signore.
Non faceva più opere da missionario, ma continuava a essere missionario; anzi, a essere missione.
Aveva capito e viveva una delle grandi intuizioni mistiche e profetiche del beato Conforti: la consacrazione è missione! Compresi meglio tutto questo quando p. Roberto un giorno mi disse: “Vedi, fino ad ora ho cercato di essere missionario nell’attività, come san Francesco Saverio; ora continuo a essere missionario cercando di fare missione come santa Teresina di Gesù Bambino”: silenzio, contemplazione, preghiera.
Ce lo siamo ripetuti tante volte: essere, prima e più del fare. Ma continuiamo a dare tanta importanza a ciò che si fa. Certo, è necessario agire, inventare, costruire... Guai però a dimenticare che vi è qualcosa e Qualcuno di più importante: lo Spirito Santo, protagonista della missione. Guai a cadere nel troppo affannarsi di Marta, dimenticando che ciò che fa la missione è “la parte migliore”.
Ora che non lo vedo più il padre Roberto, aggrappato all’altare, rannicchiato davanti al tabernacolo, sento che questa è stata la sua parte migliore, la sua più vera missione, anche quando con entusiasmo “esagerato” si impegnava in mille faccende apostoliche.