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Africa: Il mio presepe in questo Congo martoriato

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Anche in questa mia Africa, come ogni anno, il Natale è arrivato puntuale il 25 di dicembre, durante la stagione delle piogge, in mezzo a scrosci improvvisi d'acqua e con il fango che rende viscide ed insidiose le viuzze degli scoscesi quartieri di questa città di Bukavu.

Nonostante i tanti anni passati in mezzo alla miseria, alla fame, alle bruttezze di una guerra insensata, il Natale ci ha riportato al desiderio di gioia e di pace, con le musiche, le danze, le chiese piene di gente, le sue tradizioni e la sua poesia.

Dacché la guerra ha preso dimora dei nostri quartieri, non siamo più abituati a celebrare la Messa di mezzanotte. L'insicurezza regna ancora dappertutto e fa paura; la gente, con le prime ombre della sera, si rinchiude nelle proprie catapecchie, aspettando nell'ansia le prime luci dell'alba.

Al presepe di Bukavu, quest'anno, si è presentata una fila interminabile di gente. Migliaia di persone che mancano d'abitazione, migliaia di ragazzi costretti a vivere sulla strada, migliaia di bambini malnutriti, migliaia di vittime per questa guerra assurda. Attorno ad un Gesù Bambino, coricato sulla nuda terra e all'aria aperta tra l'intemperie della stagione, si è presentata tutta questa lunga fila di persone d'ogni età, con abiti stracciati e sporchi di fango, con negli occhi la paura delle violenze e dei massacri. Gente che incontro ogni giorno. Tutta gente che chiede di vivere e che cerca d'incontrare il Bambino della Vita, il Salvatore del mondo.

I personaggi del nostro presepe hanno un nome. Sono personaggi veri, in carne ed ossa.
Impossibile parlare di tutti; ne nomino soltanto qualcuno.

Margherita è vedova da diversi anni.

Ogni giorno mi aspetta dinnanzi alla porta della nostra casa. La conosco da sempre e so bene cosa mi dirà. In casa ha una caterva di bambini: sei sono figli suoi; gli altri cinque sono bambini racimolati dalle strade di Bukavu.
Margherita ha un grande cuore di mamma; grande come la sua fede… Ma trova tante difficoltà a mandare avanti la baracca. Si dà tanto fare, ma Bukavu non è più la città di una volta, dove la presenza di tanti bianchi le permetteva di avere qualche piccolo lavoro e arrotondare le sue miserabili entrate.

Due ragazzetti, Akonkwa e Masudi, divenuti amici dopo essersi incontrati sulle strade del "feu Rouge" di Bukavu. Akonkwa è nato a Walungu, Masudi viene da un piccolo villaggio, oltre le miniere d'oro di Saramabila. Non hanno casa. Le strade di Bukavu sono diventate la loro casa. Di giorno si arrangiano ai crocicchi chiedendo elemosina; la notte si accartocciano, abbracciati, sotto un riparo di fortuna.

Per giorni si sono nascosti tra le sterpaglie della foresta per sfuggire alle "machettes" delle varie fazioni soldatesche. Sono stati spettatori del massacro dei loro familiari. Masudi porta con sé lo spavento e la rabbia di aver visto, impotente, la ferocia di tre soldati sul corpo della sorellina di dieci anni. "Sento ancora quelle sue grida laceranti che mi domandavano aiuto. Un giorno li ritroverò, l'immagine del viso di quei tre soldati è impresso nella mia testa. Quel giorno pagheranno tutto…", mi ha detto.

Richard e sua sorella Lilly sono due studenti.

Anche loro sono arrivati a Bukavu per miracolo. Sono riusciti a fuggire dalle grinfie degli Interamwe. Sono stati accolti dai cristiani di una delle tante comunità di base. Come loro, tanti altri, si trovano nella stessa situazione. Vorrebbero continuare a studiare; ma mancano i soldi per pagare le tasse scolastiche.

E' questo il presepe del nostro Congo d'oggi. Un presepe che noi come Missionari abbiamo scelto volutamente per annunciare e condividere; per insegnare ed imparare; per dare ma soprattutto ricevere.

In questo presepe fatto dalla nostra gente, davanti al Bambino Gesù, continuo a farmi tante domande: Come sarà il nuovo anno per Uvira, per Goma o per i tanti villaggi del Maniera, dell'Urega o della piana della Ruzzi? Qui, da quasi cinquant'anni, i missionari Saveriani stanno dando anima e corpo per il regno di Dio e per "fare del mondo una grande famiglia", come diceva il nostro beato Conforti. Come possiamo essere un presepe di speranza e di amore, segno di "Dio con noi"?

Sono missionario da tanto tempo. Mi accorgo che la nostra maniera di fare missione sta cambiando enormemente. In un conflitto senza fine e nella ricerca affannosa di pacificazione, la nostra presenza missionaria ha bisogno di prendere altre strade. Da uomini di speranza siamo chiamati ad essere uomini d'azione.

Le chiese locali ci domandano altri impegni. Delle molte strutture che, con tanta fatica e con la generosità di tanti benefattori, sono state costruite nei tempi passati, oggi non rimangono che i miserabili resti dei saccheggi. Dobbiamo pensare alla ricostruzione di questo vasto paese, alla sua ricostruzione morale, alla cura delle profonde ferite prodotte da questa guerra.

p. SIMONE VAVASSORI,
superiore dei saveriani in Congo R.D.



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