LA MIA ESPERIENZA MISSIONARIA IN R. D. CONGO
[di: Marco Trink] * È sempre difficile per me iniziare a scrivere una lettera, sia perché non amo scrivere sia perchè non so mai cos'è meglio mettere all'inizio e ho sempre paura di dimenticare poi qualcosa.
Quando sono partito avevo 2 bagagli e 1 trolley, penso che ora al ritorno non basti l‘aereo di domani per contenere tutto quello che devo riportare in Italia.
Le mie valigie erano piene di vestiti, ora lo sono di molto altro.
Ci è stato chiesto da un padre: “Prima di partire com’era la vostra bisaccia? Piena o vuota?” Se sono partito significa che la mia bisaccia era incompleta e, a dire il vero, forse lo è tuttora. Ma parte di essa si è riempita, in certi giorni forse strabordava, in altri magari sembrava vuota e aveva delle tasche da riempire. Ora come ora non so se sia piena; sono convinto che molte domande non abbiano ancora trovato una valida risposta. Un viaggio come questo ci vogliono mesi, forse anni per metabolizzarlo e comprenderlo realmente.
Nella mia valigia porterò volti di persone, le loro storie e le loro sofferenze.
Ma porterò anche i loro sorrisi, la loro voglia di vivere e condividere con me la gioia del nostro incontro. Porterò nella valigia mani protese verso di me per chiedere un pezzo di pane o qualche dollaro, ma porterò anche braccia protese verso di me per abbracciarmi e stringermi, per ricevere e darmi affetto.
Non dimenticherò facilmente quelle schiene curve sotto il peso di enormi sacchi, quelle scarpe ridotte in brandelli a causa dei molti chilometri percorsi, quei volti arsi dal sole e dalla fatica, forse anche dalla fame e dalla sete.
Ho toccato con mano la miseria, la povertà, ma ho anche toccato con mano l'umanità, quella vera e sincera, fatta di altruismo e di volere il bene dell'altro prima del proprio.Ho visto missionari chinarsi per allacciare una scarpa ad un bambino, ho visto carezze donate a volti affranti, ho visto donare tanto amore.
Non so se quando sono partito ero preparato e pronto a tutto, non so se me l'aspettavo quando ho ricevuto da padre Tommaso la croce che porto al collo.
Non dimenticherò mai i volti di quei bambini abbandonati che non hanno mai ricevuto il vero amore di mamma e papà, come non dimenticherò mai i volti delle donne che, oltre alla povertà, hanno subito altre violenze.
Mi hanno dimostrato come l'amore possa superare tutto questo e la voglia di vivere e rinascere superi qualsiasi guerra e atto inumano.
Ecco, questo forse è solo una parte di ciò che mi porterò nella valigia, forse rovistando sul fondo c'è molto altro da scoprire.
Tutto questo lo devo anche ai miei compagni di viaggio, che in certi momenti forse hanno portato per me la mia bisaccia, in altri magari avevano bisogno che io portassi la loro. Compagni trovati quasi per caso, ma che in realtà facevano già parte del progetto di Dio. Ognuno tornerà alla propria casa, alla propria famiglia, ma sicuramente sulla scrivania ci sarà una nostra foto di gruppo e in futuro tra una formula e l'altra mi chiederò: chissà che cosa stanno combinando Davide, Sara, Simone, Yuriko e Giovanni. Sicuramente tutti loro sono la testimonianza vivente di cosa significhi essere saveriani e godere ogni giorno di questo dono. Magari, vedendo la foto, scriverò un messaggio sul gruppo o manderò io una foto, sapendo che con questi ragazzi ho vissuto la mia prima missione in Africa!
Un giorno una persona mi ha chiesto: “Se dovessi riassumere il tuo viaggio in una sola parola, quale useresti?”. Beh, sicuramente userei la parola ‘umanità’. Difficile forse da spiegare a parole; l’umanità, come ho detto nelle prime righe, l’ho vissuta e l’ho toccata con mano in tutte le persone, in tutti i volontari e soprattutto in tutti i bambini che ho incontrato.
Un’umanità vera, fatta di parole, ma soprattutto di gesti.
Gesti a volte nascosti, a volte silenziosi, ma che in grado di toccarti e di raggiungerti nel profondo del cuore. Posso, senza ombra di dubbio, dire l’umanità di Gesù Cristo, incontrato in quei volti e in quella sofferenza, mostratosi in situazioni non di ricchezza, ma di povertà e umiliazione. Un’umanità che è in grado di farti sorridere e di farti capire come la gioia di vivere possa superare qualsiasi grave situazione.
Forse un giorno ritornerò qua o forse no, non lo so ancora. Certamente nel mio cuore ora sventola anche la bandiera del popolo congolese e, come si dice in Friuli quando ci si saluta, non mi resta che dire: Mandi, Congo.
MARCO TRINK.