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La tre natività

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La spiritualità gesuata di orientamento francescano ha sempre privilegiato il tema della humilitas del Figlio di Dio fatto uomo. Di conseguenza il Natale ha costituito un tema privilegiato di meditazione e contemplazione nella vita sprituale del singolo religioso, ma è stato anche un soggetto amato nella predicazione, collegato alla rappresentazione visiva del Presepe.

I temi della luce nella notte, della mamma con il bambino, della culla vegliata dal bue e l' asinello e della visita dei Re Magi colpiscono l' immaginazione dell'uomo, nello specifico la creatività degli artisti, che hanno trattato il soggetto secondo la loro sensibilità. Il Salone d' onore della Pinacoteca Tosio-Martinengo accoglie le massime opere dei più importanti pittori bresciani in gara nel rappresentare questo evento. La chiesa di S. Cristo conserva tre esempi di periodi diversi illustranti questo mistero.

1- PAOLO DA CAYLINA.

L' affresco si trova a sinistra sull'arco trionfale con la sovrastante Pietà datata 1490, anno ritenuto valido anche per la nostra Natività. Si accompagna fuori scena a un S. Pietro Apostolo in ricordo della chiesa soppressa di S. Pietro detto in Ripa per distinguerla da quella contigua in Oliveto e da quella del Dom, una delle cattedrali.

In stile devoto tardogotico colpisce la somiglianza della testa di S. Pietro con quella di S. Giuseppe: canizie incipiente conclusa dalla bianca barba riccia nel volto raccolto, gli occhi bassi. Queste figure si possono accostare alle tempere della Pinacoteca Tosio-Martinengo raffiguranti Paolo predicante e Paolo che scrive le epistole, resti del polittico di Gardone V. T., attribuite a Paolo da Caylina il Vecchio o, come amava firmarsi, Paolo da Brescia, cognato di Vincenzo Foppa. Tra l'altro gli viene attribuita la recente Ultima Cena apparsa dai restauri del 2001 nella saletta-bookshop del museo di S. Giulia. Un ulteriore raffronto può essere fatto con il S. Giuseppe nella Natività del presbiterio della Pieve della Mitria di Nave, dove la culla di vimini del Bambino Gesù presenta analogie con il nostro insieme al breve paesaggio di destra.

Al centro della scena sta la Madonna in raccoglimento china sul bambinello alla presenza del bue (si vede un corno solo, ormai cancellato l'altro insieme all' asinello) sullo sfondo di un macchia brunastra attorno all' angelo nunziante in un restauro pasticciato. Si nota la presenza di una montagna nella cima degradante dietro S. Giuseppe. Sul lato sinistro la parete in ombra di una casa si pone angolarmente vicino alla figura di S. Pietro in una luce rarefatta e irreale, quasi una astrazione metafisica sottolineata dalla presenza della finestrella. Secondo la tradizione palestinese è la casa-pensione che non avendo posto ha accolto la coppia in un locale di fortuna al piano basso, luogo di stalla e cantina.

Nel colore brunastro dello sfondo spiccano l' azzurro del cielo e il blu del manto della Vergine. Splendono gli ori delle tre aureole e il drappo purpureo dell' infante, simboli di divinità e di regalità. Il pittore si attarda nel ricreare l' atmosfera semplice in un ambiente povero e umile, non disgiunto da un senso di intima sacralità.

In un articolo di Brixia Sacra (anno 2000, 1-2) viene fatto notare come tutte le arti si influenzano a vicenda sul finire del '400. Viene  riportata una miniatura di Giovanni Pietro da Birago dal Codice Martinengo della Queriniana dove S. Pietro presenta curiose analogie con quello presente nella Natività di S. Cristo.


2 - LATTANZIO GAMBARA.

Le quattro scene della vita di Gesù nell'endonartece cominciano con una Adorazione dei Pastori. Colpisce in questo affresco la luce emanante dal Bambino che illumina i volti degli astanti sullo sfondo di un paesaggio inquadrato dalle colonne del tempio in rovina, simbolo del vecchio Testamento morente di fronte al nuovo che nasce nella culla. In primo piano sulla destra emerge il maestoso pastore nel gesto rustico del levarsi il cappello sul profilo barbuto in controluce. Ai suoi piedi seminascosto da un zampognaro resta umilmente inginocchiato nella bianca veste religiosa il committente, probabilmente il priore gesuata, in quegli anni attorno al 1575 fra' Angelo Leuco. Alla sinistra dietro S. Giuseppe sono il bue e l' asinello oltre i quali si intravede confusamente un movimento di cavalli, forse preannuncio dell' arrivo dei re Magi. La madre si pone naturalmente al centro, le braccia allargate in adorazione nel chiarore della culla. Alle sue spalle oltre il tempio in rovina un pastore sembra scrutare nel cielo luminoso l' arrivo della cometa o forse dà l' annuncio agli altri pastori.

L' affresco attribuito da vari autori a Lattanzio Gambara è un saggio della sua abilità nel creare prospettive, giochi di luce e colore. Il Gambara aveva affrescato le pareti del duomo di Parma vicino alla cupola del Correggio dal quale ha saputo trarre insegnamento nello studio dei luminosi cromatismi.

NOTA ESPLICATIVA. Ulteriori espressioni della sua versatilità sono visibili tra l'altro nelle scene successive come la Presentazione al Tempio notevole per la teatrale fuga di colonne e gli scorci di sotto-in-su ai lati della tela. Nel terzo riquadro Gesù tra i dottori dove alla figura possente di destra (ricorda la sala dei giganti di palazzo Avogadro dietro al Loggia) si contrappone  a sinistra il gruppo Maria-Giuseppe che interpellano Gesù dodicenne al centro dell' emiciclo dei dottori in fine gioco di luce e controluce. Infine nel Battesimo di Gesù (l' apertura della porta ci ha privato ormai del protagonista) la leggerezza e luminosità degli angeli con i simboli della nube e della voce lo dicono abile nel maneggio del colore.

Il ciclo dei Padri della Chiesa all' esterno dell'endonartece resta di difficile attribuzione. La perfezione del tratto denota l' intervento di un profondo conoscitore dell' arte nordica, il Duerer (?), di un abile disegnatore a suo agio nel muoversi in spazi ristretti sugli archi con un risultato di grande rilievo, apprezzato dai critici: vengono citati come autori i fratelli Campi di Cremona, presso i quali Lattanzio lavorò a bottega fino al 1550, data del suo rientro in Brescia.

Il Gambara dà prova di versatilità straordinaria, capace di imitare i più grandi artisti. A questo riguardo si può pensare ad un suo intervento nella decorazione della parete occidentale della chiesa dove sono i maestosi fondali en trompe l'oeil dentro fastose colonne, già viste nella Presentazione di Gesù al tempio: la sua opera verrebbe così ad includere le sei stazioni della Via Crucis insieme alla fascia con putti, che merita un accostamento con quella ancora visibile sulle Case del Gambero di via Palestro. A riprova della sua abilità di esperto manierista è possibile citare l' influsso di Giulio Romano della stanza dei Giganti nelle colonne ornate presenti nella Presentazione, mentre la Scuola di Atene di Raffaello spiegherebbe la scalinata dell' affresco di Gesù tra i dottori.
      Parrebbe lecito concludere che, nel mentre fra' Benedetto da Marone affrescava la parte alta della chiesa, Lattanzio lavorava in quella inferiore sicuramente prima del 1574, data della morte che secondo una leggenda trovò cadendo da una impalcatura in S. Lorenzo spinto da invidiosi concorrenti, in realtà dati di archivio annotano chiaramente che morì nel suo letto  nella sua casa di via G.Rosa. Era sposato con Margherita, figlia del Romanino, divenuto suo socio in lavori importanti con piena fiducia e intesa.

Ci si chiede se i due affreschisti operarono insieme in S. Cristo prima del 1565, termine fissato come certo dal Dufner per la fine dei lavori di fra' Benedetto. Ciò è possibile se si ipotizza che il frate dell'acqua, membro residente e ancor presente nel '68, abbia potuto continuare il suo lavoro di affreschista qui e in altre parti dell'edificio. Negli anni dei lavori in San Cristo il Gambara dimorava in via Gabriele Rosa a pochi passi da S. Benedetto e dalla bottega degli Zambelli, in passato frequentata tra l'altro da Andrea da Marone e dal fratello Paolo, poi diventato fra' Benedetto.

 In tema di raffronti è interessante accostare questa Nativita' all'altra sua ritenuta da sempre il suo capolavoro, vale a dire quella posta in capo alla navata destra della chiesa di SS. Faustino e Giovita. In questo caso l' impianto strutturale è dato dalle due figure di primo piano che conferiscono profondità alla scena insieme alle colonne aperte sul lontano paesaggio dominato dal coro angelico. Al centro si pone la Vergine con le braccia aperte, attorniata dai pastori e da S.Giuseppe sempre in posizione discosta. Fin dall'antichità sono stati notati elementi di rigidità nelle figura di Maria e nella fantesca a sinistra, il tono brunito dell' insieme piuttosto monotono alla Giulio Romano con citazioni da Raffaello e Moretto.

In San Cristo si avverte più naturalezza, scioltezza nelle immagini seppur qualche volta sommariamente risolte, originalità nella ricerca luministica vicina ai temi del Correggio, che si fa prepotente in questi anni '60 fino a raggiungere il culmine negli affreschi eterei della Farmacia Benedettina di S. Faustino, purtroppo non accessibili, illustranti il tema della salute attorno al dio Apollo guaritore. La Natività di S. Faustino proprio a causa del forte influsso di Giulio Romano viene datata a dopo il 1561, nel qual caso potrebbe avvicinerebbe al probabile tempo di esecuzione degli affreschi di S. Cristo.

3 - PIER MARIA BAGNADORE.

La terza Natività o Adorazione dei pastori è di Pier Maria Bagnadore (1548? - 1627?) e fa parte del trittico con le tele della Adorazione dei Magi e della Circoncisione, nella cappella laterale di centro dedicata alla devozione di Gesù Bambino. Nel Seicento l'altare principale fu sostituito dall'attuale in legno a intarsi e madreperla. Nella cupola gli affreschi delle quattro sibille e altrettanti profeti prefigurano la venuta del Salvatore: sono essi pure opera del Bagnadore come i pennacchi della calotta con i quattro evangelisti. Le tre tele sono state eseguite con la tecnica della tempera grassa.

Al contrario delle altre due giunte a noi intatte, l' Adorazione dei pastori ha subito cambiamenti, per essere adattata a cornici in tempi diversi, come il taglio del piede e della gamba ai due lati, una centina sulla sommità. Un restauro di imperita mano poi ha decisamente storpiato la figura col gozzo inginocchiata a destra. Le fonti di luce sono due: quella in cielo che come un concluso dentro la centina avvolge un gruppo di tre angioletti, uno dei quali si stacca scendendo a terra dove lo si vede senza ali nella culla, e l' altra in basso che irradia vivissima dall' Infante riverberandosi sul volto degli astanti. Certe modalità sono ormai recepite e diventate di uso comune, come la disposizione delle persone a emiciclo in primo piano, il gesto contadinesco del levarsi il cappello o quello di ripararsi gli occhi dalla luce troppo violenta.

La ricerca luministica trae origine dalla scuola del Correggio. Verso il 1566 il pittore compie un viaggio a Roma e al suo ritorno si ferma in Emilia nella capitale dei Gonzaga di Novellara, ramo cadetto della celebre famiglia, dove attinge all' opera di Lelio Orsi. La tela viene datata al 1580, quindi precederebbe la costruzione delle tre cappelle: troverà il suo posto nella cappella centrale circa venti anni più tardi, insieme alle altre due eseguite più tardi e di altra intonazione.

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