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PROVERBI AFRICANI: 9. LA BENEVOLENZA

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Nella Società tradizionale africana, la fase adulta comincia normalmente dai 15/16 anni, quando il/la giovane dimostra di essere in grado di assumersi delle responsabilità socialmente fondamentali.

Tra queste citiamo: il saper lavorare la terra, il saper costruire una capanna, l’essere in grado di procreare, ecc. Esistono particolari e appositi riti per verificare il raggiungimento della maturità del/della giovane oppure la sua permanenza nella fanciullezza. Una volta raggiunta l’età matura, il giovane viene inserito, tramite alcuni fatti e a volte mediante particolari rituali, nella classe dei grandi, generalmente chiamati adulti.

In questa nuova posizione egli acquisisce uno stato che gli impone il dovere di conoscenza ed applicazione di certe regole di convivenza. Queste ultime sono fondate sulla dimostrazione e salvaguardia della dignità personale, quella del suo clan di origine, del suo villaggio, e così via.

Ci sono principi, valori, fatti e misfatti, insiti nel comportamento personale e/o sociale. Ne segnaliamo alcuni, come: amore, bontà, amicizia, ecc.

Tutti questi, partendo dall’autentica visione africana.

Partiamo dalla BENEVOLENZA.

E’ la qualità della relazione ad altrui, determinata dalla ricerca del suo bene per il bene stesso. La bontà diventa concreta nelle esperienze di amore e di amicizia. Rispetto alla giustizia, che attribuisce a ciascuno il suo debito (siamo nel settore pubblico), la bontà è considerata come la virtù morale per eccellenza nelle relazioni interpersonali. Insomma la bontà si trova a metà strada tra l’egocentrismo (interesse proprio) e l’eterocentrismo (altruismo). L’altruismo si preoccupa dell’altrui interesse, fino a (forse) sacrificare il proprio. Mentre per i cristiani, la bontà si orienta nel senso della carità, con inclusione della solidarietà e compassione.

Per molti la benevolenza è un modo per accrescere il proprio onore di fronte agli altri e non va confusa con la debolezza. Essa richiama un atteggiamento di amore e di riguardo verso chi è nel disagio. E quindi l’offesa, la cattiveria, la gelosia, l’invidia, le colpe di ogni genere feriscono la benevolenza e la rendono difficile da esercitare. In sintesi, per l’africano: per vivere veramente felici, occorre brillare di bontà.

Ma bisogna tuttavia sapere che la bontà ha i suoi limiti. E allora ecco alcuni proverbi.

Partiamo dai Mossi del Burkina Faso “Se aggiungi uno strato di terra in più su un muro, non lo fai crollare” (se aumenti la tua bontà, non fai male a te stesso). C’è la convinzione che in ogni uomo c’è la disposizione al bene. Come diceva il fondatore degli Scout, in ogni ragazzo c’è almeno il 5% di cose positive e su cui dobbiamo fare leva per aumentare il suo modo di fare il bene. Così ce lo ricordano gli Zulu del Sud Africa “ogni fiume ha la propria fonte”.

Il fare il bene porta sempre delle conseguenze, prima di tutto su noi stessi.

Così dicono sempre i Mossi del Burkina Faso “Se fai del bene, lo fai a te stesso; se fai del male, lo fai a te stesso”.

Terminiamo con altri tre proverbi. Partiamo dagli Yoruba del Rwanda “Il bene è di piombo, il male di piume” (è più difficile fare il bene, è più facile fare il male). I Bamoun del Camerun di ricordano che quando sei in grado di fare del bene a qualcuno, fallo senza aspettare che te lo chieda. Così dicono:

“Non si riconosce un uomo affamato dalla sua testa prima di avergli dato da mangiare”.

Una bontà esagerata attrae pericoli e disgrazie, c’è sempre qualcuno che approfitta della tua bontà. E’ l’amara constatazione degli Hutu del Burundi “Buongiorno, buongiorno, fa male alla gola”.



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