Skip to main content
Condividi su

Caro amica e amico! Pace! Come stai? Ti spero bene e allegro/a  per ciò che la vita ci riserva. È dal mese di giugno scorso che non ci sentiamo dopo quella lunga lettera agli amici, la prima dagli Stati Uniti. Oggi invece ti scrivo una lettera più breve e comunque non meno importante di quelle precedenti. Voglio condividere con te il mio discernimento e decisione di lasciare gli Stati Uniti e il mandato alle Nazioni Unite (Vivat International) a New York  e  a AFJN (Africa Faith and Justice Network) che lavora a Washington per advocacy all’American Congress, il parlamento americano e in Africa.

La cosa ti sorprenderà probabilmente, ma dopo gli ultimi due mesi di riflessione, preghiera e discernimento sono arrivato a questa decisione d’accordo anche con i miei superiori, sia il nostro padre generale e anche il provinciale della North American Province. Mi sono confrontato molto anche con la mia guida spirituale gesuita, confratelli, consorelle e amici vicini e lontani prima di giungere a questa conclusione sofferta ma credo opportuna.

Indubbiamente quello dell’advocacy e presenza in certi ambiti “diplomatici e politici” è un servizio particolare che richiede anche pazienza, visione, preparazione e comunque un legame concreto con la realtà locale e internazionale soprattutto. Durante quest’anno ho cercato di inserirmi nella realtà americana che sta vivendo un momento storico di passaggio difficile per questa amministrazione selvaggia e violenta di Trump. Ma anche nella Chiesa cattolica americana che sta passando grandi difficoltà con vari scandali che sono emersi in questi ultimi mesi e anni e che stanno avendo effetti particolari sui fedeli e società americana. Certamente ho fatto scoperte interessanti e belle di vario tipo, leggendo, visitando, incontrando tante realtà belle e impegnate della società civile e religiosi e laici che si stanno donando in maniera magnifica per costruire un mondo migliore e più giusto, andando contro questa realtà di morte, razzismo, xenofobia, indifferenza e violenze inaudite quotidiane. Segni eloquenti e chiari di una nazione malata che ha estremamente bisogno davvero di riconoscerne le cause e i relativi frutti negativi e conseguenze che sono sempre più evidenti in questa società. Certo sono segni che mostrano la caduta graduale lenta ma anche chiara di un impero americano del potere del denaro, sociale, economico e politico degli ultimi 20 anni sia nel paese che nel mondo. E questa amministrazione Trump davvero impersona la grande paura, il male e la divisione che sta suscitando all’interno del proprio paese e anche nel mondo intero facendo scelte disastrose militari, economiche, ambientali. Sta creando alleanze molto pericolose con alleati violenti e senza scrupoli andando contro una visione di un mondo più giusto e globale, nel rispetto dei diritti umani per tutti e non solo d’interesse per i pochi ricchi e miliardari. La parola “bene comune” sta sparendo dal vocabolario della politica sia qui ma anche in tanti altri stati sovrani. Indipendentismo invece di multilateralismo. Una minaccia contro comunione e solidarietà per risolvere insieme i problemi. Il multilateralismo è l’unica via d’uscita dai problemi globali che stiamo vivendo in questa epoca storica difficile e sempre più complessa.

In effetti devo confessare che per vari motivi gli Stati Uniti non mi sono mai entrati nel cuore profondamente. Ho letto, studiato e imparato molto su questo paese, i popoli che ci vivono e anche lo stile e modo di vita e di pensare. Ed in effetti siamo lontani da ciò che ho sempre vissuto precedentemente come ho cercato di spiegarvi nella mia prima lettera di giugno. Indubbiamente la vita, l’umanità, la spiritualità che ho vissuto in Africa per vent’anni è sicuramente più marcata e profonda nel mio cuore e nei miei ricordi. Nonostante lotte e difficoltà, povertà, pericoli o violenze alle quali sono stato testimone in Africa, là ho vissuto la semplicità, vita, accoglienza, amicizia e amore per e con la gente e la missione in maniera più forte e con passione. Una presenza di un Dio che si fa vita con chi soffre, con chi lotta e cerca una liberazione integrale.

È missione anche qui in questa parte del “mondo occidentale e moderno”, ci mancherebbe. Ma siamo su altri piani di vita e riflessione, dentro un sistema che vuole preservarsi e non vuole cambiare, anzi. Vuole continuare a vivere così senza realizzare che ci sono grandi segni di disgregazione e di morte che se non vengono affrontati diventa sempre più difficile trovare una visione comune e fraterna per poter andare avanti. E di conseguenza anche le scelte politiche, economiche, ambientali e militari di questa nazione hanno delle conseguenze letali per tanti altri popoli in tutto il mondo. Rimanendo qui mi sono reso conto sempre di più come è proprio vero che siamo nel “cuore della bestia”.

Nel mio ministero alle Nazioni Unite ho sentito spesso questa mancanza di contatto con la gente comune, con chi soffre la vita quotidiana e fatica ad andare avanti. In effetti è un ambiente dove c’è molta diplomazia e tutto diventa diplomatico: dal parlare, allo scrivere, al rivolgersi ai vari livelli di competenza, alla partecipazione ai vari eventi. Molto lavoro di ufficio e al computer. Un ambiente che sento sempre più molto asettico, poco spontaneo e lontano. Ho sempre avuto il grande desiderio e sogno che la vita vera entri dentro quelle stanze diplomatiche e nelle assemblee di alto livello o di vario tipo che si susseguono a raffica. In questo anno ho partecipato sia a Washington che a New York a molti incontri di presidenti, primi ministri, ministri vari, ambasciatori e responsabili di organismi non governativi di tutto il mondo su temi importanti e vitali per l’umanità come: l’ambiente, il disarmo, migrazioni, human trafficking, giovani, educazione, sanità, pace e giustizia ecc. Ho potuto seguire e notare come varie dinamiche di alcuni governi mondiali cercano il loro interesse nazionale piuttosto che quello comune mondiale, facendo ostruzione o alleanze contro altri Stati o decisioni per distruggere proposte molto pertinenti e valide. E capisci quanto ancora ci sia da lavorare per arrivare ad un’istituzione che possa davvero essere le vere Nazioni Unite che comunque rimangono l’unica istituzione globale che mette insieme i 193 paesi al mondo per tentare di mettersi d’accordo su valori grandi come la pace, giustizia, migrazioni, ambiente, lavoro, sicurezza ecc. Una missione davvero grande e immane ma soprattutto necessaria e sempre più urgente!

Un’istituzione globale importante che però ha bisogno di riforme chiare e volute veramente dagli Stati membri altrimenti diventerà sempre più difficile per i popoli avere una visione comune e risolvere insieme i problemi che nessun popolo può risolvere da solo. Nemmeno quello americano che sta tentando con l’amministrazione Trump di andare da solo in vari ambiti delicati e vitali per tutti. E con la conseguenza di fare scuola per molti Stati e leader (Salvini in testa) che stanno purtroppo seguendo le orme e lo stile di questo leader e Stato “potente” ma in piena crisi “esistenziale e sociale”.

La Chiesa cattolica americana è già di per se molto conservatrice e ha un passato di Chiese locali nazionali che erano costituite dai cittadini e fedeli emigrati di un particolare paese (Italia, Polonia, Irlanda, Francia, Spagna ecc.) che dal loro inizio erano molto indipendenti l’una dall’altra. E di questa dinamica e storia si vedono ancora le conseguenze e presenze di fedeli di quelle nazionalità, raggrupati molto spesso in varie regioni e stati del paese. E la difficoltà del passato a integrare le varie nazionalità europee e integrarsi con chi già c’era prima di questi migranti, cioè i nativi americani o gli afroamericani, ora si ripercuote sulle nuove migrazioni di latino americani, africani e asiatici. Non c’è una sana integrazione ma la maggioranza americana bianca tollera per il momento quelli che sono i nuovi migranti che comunque stanno crescendo in numeri ma anche in qualità di vita, educazione e partecipazione alla vita sociale, spirituale ed ecclesiale. Il razzismo e la xenofobia stanno crescendo dovunque nel paese. La Chiesa cattolica e le Chiese protestanti hanno un grande ruolo da giocare in questa dimensione di integrazione e cammino comune verso un mondo e nazione migliore e attenta soprattutto a chi soffre, ed è emarginato e povero. In questa realtà americana sono già tra i 40 a 60 milioni i poveri. In crescita esponenziale perché il ceto medio si sta disgregando e diminuendo in numeri perché le tasse e il costo della vita sono molto alti in questo paese. Resiste solo chi ha lavoro, salute e casa garantita ma deve sacrificare molto del loro tempo al lavoro e molto spesso ad avere diversi lavori allo stesso tempo.

Indubbiamente anche la nostra presenza comboniana come parrocchia di St. Lucy e santuario di S.Gerardo Maiella a Newark non è molto esaltante anche come comunità religiosa e cristiana che è molto conservatrice. Siamo presenti in una realtà periferica della città ma siamo molto concentrati sulla dimensione esclusivamente sacramentale e molto devozionalismo delle oltre 50 statue di santi e madonne da varie parti del mondo. Una parrocchia nata quasi 130 anni fa e costruita e mandata avanti per i migranti italo-americani soprattutto del Sud d’Italia che si ritrovavano in questo quartiere di Newark arrivando quasi a toccare il numero di 50 mila migranti italiani. Ora molti di questi fedeli italo-americani e le nuove generazioni si sono spostate e hanno avuto accesso a posizioni migliori e costruito case in varie parti dello stato del New Jersey o New York. E ora intorno a noi ci sono migliaia di afro e latinoamericani ma pochi frequentano la nostra parrocchia. Il nostro impegno oltre alla dimensione sacramentale, spirituale e devozionale, è quasi nulla nel sociale, per far prendere coscienza ai nostri parrocchiani dell’impegno al servizio gratuito, alla trasformazione “politica quotidiana” della vita dei poveri ed emarginati che sono diversi intorno a noi. Non mi sto riferendo all’impegno politico partitico perché poi anche questo diventa una conseguenza di come viviamo e integriamo i valori del Vangelo nella nostra vita, parrocchia e comunità cristiana, religiosa e di impegno nella società civile e nazione. E questo paese dal punto di vista politico partitico si trova spaccato in due tra democratici e repubblicani che devono cambiare tutte e due il loro rapporto con la gente e avere meno influenza dal controllo di corporations, multinazionali e interessi di pochi alla guida di questi due unici partiti nel paese.  C’è bisogno di una spiritualità che entri dentro la vita quotidiana della gente e della vita dove viviamo per un cambiamento della realtà intorno a noi. Indubbiamente anche fra noi in comunità ci sono visioni differenti per quanto concerne quale Chiesa/comunità/parrocchia stiamo costruendo dentro questo percorso storico attuale di questa città, paese e per il mondo. Il parroco e alcuni leader della comunità cristiana preferiscono mantenere lo status quo senza guardare ai cambiamenti che la società e anche delle presenze dei fedeli sempre più latinoamericane rispetto ai fedeli di qualche decennio fa. Indubbiamente da missionario trovo poco spirito missionario proprio dove dovremmo essere portatori di una Chiesa universale che si apre al mondo e alle Chiese dei vari continenti non solo accogliendo le devozioni che si portano appresso ma andando in profondità di ciò che ci dice il Vangelo in questo contesto sociale e storico di oggi, dentro una società e nazione in crisi di identità, perturbata da segni di violenza e scelte di morte che soltanto nella dimensione di una riscoperta di una umanità comune, fraterna e valore della persona, di ogni persona, colore, nazionalità, perché tutti provengono da una stessa realtà che è quella dell’emigrazione, della povertà, dello scappare da situazioni difficili di un passato per alcuni ma che è realtà odierna per altri milioni di persone oggi.

Certamente ho tentato di cambiare anche con il mio contributo questo approccio alla realtà parrocchiale e comunitaria comboniana. Ma non è stato accolto e siccome il mio ministero quotidiano era soprattutto presso Vivat International, la realtà di congregazioni missionarie che operano per l’advocacy presso le Nazioni Unite, non avevo nessuna influenza diretta visto che non ero né parroco né assitente in parrocchia. Ogni giorno celebro l’eucaristia mattutina con pochi fedeli e poi vivo la mia presenza alle Nazioni Unite o ad altri incontri che sono innumerevoli in questa città cosmopolita. Ma come vi ho già raccontato prima non mi ha poi così entusiasmato e coinvolto pienamente.

Ho tentato anche di proporre ai miei superiori una comunità comboniana inserita in una realtà emarginata di New York (Bronx, Brooklyn ecc.) con la possibilità di coinvolgere non solo un altro comboniano ma anche una suora e un laico comboniani per poter vivere una dimensione di servizio sempre nella promozione della giustizia, pace e integrità del creato per la nostra provincia americana e presso le Nazioni Unite e parlamento americano. Ma anche dedicando tempo, talenti e risorse part time con visite ai prigionieri nelle carceri, con i migranti, i senza tetto (homeless che sono migliaia a New York), alcolisti ecc. con i quali camminare in maniera concreta e vivendo sporcandosi le mani quotidianamente con loro per una sana spiritualità incarnata nella realtà e nei poveri del nostro tempo e luogo. Non credo da tempo nel ministero per la giustizia e la pace distaccato dalla realtà dei poveri ed emarginati del nostro tempo. Sono i poveri che ci salvano… il volto e la storia di Gesù che si ripete oggi nei crocifissi della storia!

Questa proposta è stata accettata da alcuni in via informale, ma i tempi e le burocrazie curiali, mancanza di personale e difficoltà a volte a fare delle scelte ed opzioni chiare e tempestive legate ai tempi attuali e persone dilatano nel tempo di anni ogni possibile visione per una presenza diversa, più incisiva e attenta all’umanità ferita e in modo più comunitario e non solo il progetto o sogno di Daniele.

E così il mio discernimento in base a ciò che vi ho raccontato l’ho vissuto in prima persona e anche accompagnato dalla mia guida spirituale, un padre gesuita di una comunità vicina alla nostra città. Ma anche con amici e confratelli comboniani e persone a me vicine qui e a New York. Certo la nostalgia di una pastorale più vicina e attenta alla gente e dell’Africa è sempre stato grande. In effetti devo dire che questi ultimi 20 anni di vita li ho vissuti sempre in missioni di frontiera e qui a volte mi sono proprio sentito fuori posto, soprattutto in certi posti! Alcuni amici e confratelli comboniani mi hanno “ripreso” dicendo che sto facendo un errore e che invece dovrei restare qui e avere più pazienza e dare tempo. Che questo posto è anche un riconoscimento del lavoro fatto in precedenza in vari ambiti di missione in Africa e che quindi diventa importante rappresentare i popoli con i quali ho vissuto. Che è buttare un’occasione di un riconoscimento importante come “carriera” per l’essere arrivati ad un luogo come le Nazioni Unite e che molti invidierebbero. Devo confessare che non ho mai fatto nulla per “carriera” o per mettermi in evidenza. Dovunque sono stato l’ho fatto e vissuto fino in fondo, con entusiasmo e passione, pagando di persona e in posti davvero difficili e complessi. Ma ringrazio il Signore per ciò che mi ha fatto scoprire e vivere in pienezza durante tutti questi anni. Certamente continuerò a portarmi nel cuore tante persone e popoli con i quali ho camminato nella mia vita e ciò che più mi ha sempre entusiasmato e attratto era vivere e portare avanti le lotte della gente partendo proprio dal camminare concretamente con loro, sia a Korogocho, in Palestina e poi in Sud Sudan. Ho bellissimi ricordi e persone che sono nella mia storia e cuore. Mi sento in pace dopo questo discernimento di ritornare in Italia, prima a casa mia e poi a Roma, per poi avere un dialogo con padre Tesfaye, il mio padre generale, con il quale si valuterà e sceglierà ciò che il Signore vuole da me per la mia prossima missione. Dove? Non lo so ancora, ma non mi preoccupo!

Comunque una missione comune che è sempre la stessa per tutti noi, dovunque siamo! Costruire insieme al Signore, il regno di Dio qui e preparasi bene per il viaggio comune che tutti noi dobbiamo fare prima o poi: verso la casa del Padre!

Ho condiviso anche con i miei parenti più stretti e alcuni amici e confratelli questa scelta e molti sono contenti che ritorni. Mi ha sorpreso positivamente questa cosa… però mi ha aiutato anche ad accoglierla con maggior pace e serenità. Ho creduto e credo ancora fortemente in un discernimento comune in diversi momenti della mia vita. Spero di potervi incontrare, almeno alcuni di voi, nei prossimi giorni e nel mese di dicembre, a casa mia e anche un po’ in giro per l’Italia, sperando di celebrare insieme a mia mamma e parenti stretti il Natale visto che sono decenni che non celebriamo il Natale insieme! Anche questo sarà un grande dono del Signore per tutti noi! Che il Signore ti benedica e ti dia sempre forza, coraggio e saggezza. Pamoja tunaweza! Insieme si può!



Logo saveriani
Sito in costruzione

Portale Unico dei Saveriani in Italia

Stiamo finalizando la nuova versione del portale

Saremmo online questa estate!

Ti aspettiamo...

Versione precedente del sito