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Da Goma, Congo RD - Il mio Diario

Da Goma, Congo RD - Il mio Diario

Carissimi,

vi raggiungo collettivamente, scusandomi di questa forma anonima e generalizzata che mai riuscirà a far onore ai vostri sentimenti di vicinanza che manifestate a noi da molto tempo e soprattutto in questi ultimi giorni da quando i conflitti armati si sono intensificati all’Est del nostro paese, e in particolare nella città di Goma.

Vorrei raccontarvi come ho vissuto questi ultimi giorni in diretta, dato che mi trovavo in quella città per incontrare i nostri confratelli che abitano a Ndosho, a 12 chilometri dal centro. Non è mio scopo mostrare un eroismo da parte nostra... Anzi, sentiamo proprio una forza che non ci appartiene e che ci viene anche dal vostro sostegno.

Vorrei “ri-cordare”, “trattenere nel cuore” questi avvenimenti intensi, come li ho conosciuti dandone una lettura più personale che politica.

Venerdi 16: Arrivo a Goma da Kinshasa.

Volo regolare, trovo in fila davanti a me, nel momento del deposito bagagli, una persona con molte valigie, in difficoltà perché ha troppi chili nei bagagli rispetto ai soli venti permessi. È un piemontese che lavora con l’Alto commissariato per i rifugiati. Mi dice che è stato mandato per un anno a Goma. Poi aggiunge: “Quando ho ricevuto la missione di Goma, esitavo un po’ ”. Non ha continuato il discorso, ma ho capito dal suo modo di fare che era entusiasta, alla mano, interessato agli altri e alla situazione del paese.

Arrivato a Ndosho, trovo solo padre Piero Mazzocchin, classe 1935, mentre padre Roberto Carlos Mendoza si trova a Kigali per un incontro internazionale dei giovani con la comunità di Taizé. Interessante: più di duecento giovani da Goma hanno partecipato a questo incontro di preghiera e di testimonianze, accolti nelle famiglie dal 15 al 18 novembre.

Sabato 17: Si sentono voci...

che a una trentina di chilometri da Goma ci sono scontri tra l’esercito nazionale e il gruppo degli M23. Un parrocchiano, verso le 15, ci dice che veniva da non molto lontano dal conflitto: “La tensione era alta stamattina”. Pensavo tra me che si trattava dei “soliti” movimenti che, da diversi mesi creano insicurezza e spostamenti di civili che si ammassano nei campi profughi.

Quanti saranno i profughi? È difficile saperlo, visto che per natura sono in movimento continuo: ma le cifre di coloro che sono assistiti a Mugunga (la parrocchia vicina a Ndosho) e a Kanyarucinya (a nord di Ndosho) possono arrivare anche a 100.000.

Domenica 18

celebriamo quattro Messe, tre in parrocchia e una in un settore. All’ultima Messa, dopo la comunione, consigliano al celebrante di terminare la Messa un po’ in fretta. Sono le 12. Infatti, in mattinata, degli obici dell’esercito sono lanciati nei pressi dell’aeroporto per allontanare gli M23 che si avvicinano alla città. Alle 13, la missione dell’ONU pure interviene con armi pesanti.

Una signora che è venuta a parlarmi, vedendo che mi trattenevo a lungo con un gruppo di laici amici dei saveriani, mi manda un messaggio: “Vorrei vederti per qualche minuto. Poi rientro perché il clima della città si è inquinato molto” (“hewa ya mji imechafuka”). Mi colpisce il fatto che, per questioni di vita spirituale, una persona ci tenga a parlarci per essere riconfortata, per ricevere la benedizione divina, per poter riprendere vita.

Più tardi, ci dicono che in mattinata le autorità del paese sono scappate in tutte le direzioni. Verso le 18 ospitiamo nel cortile della parrocchia circa 300 persone che vengono da tre villaggi in cui ci sono stati forti scontri al mattino: Muggia, Mutao e Kanyarucinya. Passando fra di loro, assieme a padre Piero e alle suore Piccole Figlie che collaborano in parrocchia, notavamo il panico di questa gente che continuava a ricordare le scene della guerra, ma pure la capacità di adattamento di coloro che cercavano di raccogliere un po’ di sassetti della lava e, con un po’ di carbone, preparavano il fuoco per scaldare un po’ di fagioli, riso, patate... Gli uomini proteggevano le loro capre legandole agli alberi del nostro cortile... e anche le capre approfittavano di un pasto d’erba (fortunatamente un po’ lunga) del prato sassoso.

Alle 21 tutto tace. Non vola neanche una zanzara. Il vulcano Nyiragongo, stranamente, dà una luce più rossa del solito. Un confratello congolese mi manda un messaggino: “La situazione di Goma mi dà l’insonnia. È inaccettabile e incomprensibile. È umiliante. Bisogna salvare il paese. Uniamoci!”.

Lunedi 19...

Ore 9 e 50, ho finito la Messa seguita da molte confessioni. Ascoltandole, leggo la sete di Dio, il profondo desiderio di vivere in comunione con lui e la gioia del perdono. Mi rimane impressa l’immagine di una persona inginocchiata là sulla scalinata del Santissimo. Ricordo che l’avevo confessata fra le prime...; era ancora là in adorazione. Esco dalla chiesa: c’è calma, la gran parte degli sfollati della sera prima sono già partiti; gli ultimi lavavano i loro vestiti con la poca acqua disponibile stendendoli sul prato al sole. Chissà dove andranno queste povere persone... Vedo passare gli alunni che rientrano da scuola: hanno detto loro che non c’è scuola. Ed è così fino a oggi.

A collazione, ritrovo con gioia padre Roberto Carlos Mendoza, che è riuscito ad attraversare la frontiera con i suoi duecento giovani venuti da Kigali. Hanno dormito in condizioni di emergenza, momenti in cui apprezzi l’accoglienza come un regalo da non scordare.

Alle 10 e 30 vado in centro città per vedere come sta Antonina Lo Schiavo, una missionaria laica di Salerno, presente in Congo dagli anni ’70. In questi giorni è da sola e abita vicino alle prigioni. Ci faceva capire che ha vissuto un periodo brutto di panico i giorni precedenti. Vuole che mi fermi a pranzo: “Quel che c’è, perché il mercato in questi giorni non è fornito”. Eppure, quel menù di pasta in bianco, frittata e zucca bollita ha ancora un sapore speciale: quello della semplicità, della condivisione in tempi difficili, quello della fraternità.

Da un lato sento di dover rientrare, dall’altro lei ci tiene a mostrarmi la sua scuola di alfabetizzazione che accoglie circa duecento bambine. Ma, naturalmente, le strutture in questi giorni sono vuote. Alle 14 e 40 saluto Antonina e vado dalla famiglia di Gilbert Mbula, studente saveriano che risiede in Messico. Abita a trecento metri da Antonina. Eppure, questa distanza mi è parsa enorme qualche minuto dopo. Alle 14 e 55 degli obici vicinissimi scoppiano e uno ci passa sopra i nostri tetti... È l’inizio di una lunga sinfonia durata fino alle 23 e 30. Eravamo seduti per terra, vicino alle pareti, in una piccola stanza con la mamma e i fratelli e le sorelle di Gilbert. Strano ma vero: non siamo riusciti a fare neanche un discorso, talmente il clima non lo permetteva.

Alle 17, in un momento di calma, trovo l’occasione di ripartire e rientrare da Antonina. Rientrare a Ndosho, a 12 chilometri da là, sarebbe stato correre grossi rischi. Mi dicono da Ndosho che gli sfollati sono arrivati più di ieri: 400? Alle 20 sono andato a letto: fuori, al chiaro di luna, ancora spari intercalati da un silenzio pesante in piena città!

Martedì 20...

Alle 5 e 45 mi sorprende il suono della campana della cattedrale, poco vicina. Finalmente un dolce suono! Ma i botti, anche in serie, si sentono ancora, anche se più lontani. Usciamo con Antonina dal cancello per andare a Messa. Vediamo una tenuta di un militare abbandonata lungo la strada. Non è l’unica che ho visto in questi giorni. Ci dicono che i prigionieri (circa 1.500) sono scappati. Questa informazione non sono riuscito a confermarla di persona e le radio non ne hanno parlato. Eppure, vivendo vicino alla prigione, ci accorgevamo che c’era un silenzio anormale, come se gli abitanti non ci fossero più.

Ricevo un messaggio di un amico magistrato che avevo incontrato poco tempo fa: “Eravamo preoccupati della tua salute. Ti sappiamo ora in vita, che Dio sia benedetto. Resta al riparo: la situazione non è ancora calma”. Un messaggio che rappresenta tanti altri che abbiamo ricevuto da molta gente che ti sa dare conforto. Eccone un’altro: “Caro padre, pace e benedizione. Ogni giorno che passa, prego e supplico il Signore di conservare sempre la sua mano su di te. Non ti dimenticherò mai”. Sono preghiere che si trasformano in veri angeli custodi che ci accompagnano nei nostri movimenti!

Alle 12 si sparge dappertutto la notizia che M23 ha preso la città. I botti spariscono, la gente esce da casa e si mette con prudenza lungo le strade per accertarsi della situazione. Non si sa il numero di feriti e di morti. Penso ai confratelli di Ndosho che ho lasciato ieri. Rischio e, a piedi, decido di rientrare a Ndosho. Saluto Antonina, vedendo commozione nei suoi occhi. Lei rimarrà da sola...

So che è un rischio attraversare la città. Ma ciò che mi assicura è la presenza della gente lungo le strade. Ed è così che seguo il mio itinerario, da solo, cercando di mettermi dove c’è più gente. Quanti commenti per strada vedendomi passare! Ricordo due in particolare: “Voi bianchi, invece di intervenire ci abbandonate!”. Effettivamente, gli stranieri degli organismi internazionali hanno lasciato domenica la città. Questo non fa onore a chi si impegna per la popolazione. Chissà il piemontese dell’aereo se è rimasto? Me lo auguro. Un altro commento: “Guarda il padre. Come noi si sta dimenando”. Era il momento in cui da lontano si sentiva sparare.

Era verso Ndosho, dove mi stavo dirigendo. Allora, un giovane a me sconosciuto e che purtroppo non saprei più riconoscere, mi ha mostrato una scorciatoia e mi ha accompagnato per una decina di minuti. È un esempio di quegli angeli di cui parlavo. Poi, in quella scorciatoia, riconosco un ausiliare della Comunione della parrocchia. Mi accoglie in casa. Mi racconta come hanno vissuto questi ultimi giorni. Il figlio maggiore è incollato alla radio per sentire ciò che si racconta della città.

Informo a Ndosho che sono già in parrocchia, a una trentina di minuti a piedi dalla canonica. Mi si dice: “Non muoverti da là, qui sparano ancora”. Una frase che ti fa venire il cuore in gola. Pensi alla tua missione. A chi ti ci ha mandato e perché. Ricordo l’anno della fede. Un senso di fiducia riviene. Aspettiamo. Ascoltiamo la gente.

Quando tutto sembra calmarsi facciamo l’ultimo tratto a piedi. Stavolta sono accompagnato dal figlio dell’ausiliare della Comunione. Strada facendo parliamo di altre cose, come per sdrammatizzare. Ma qualche ora prima, in quei posti era il fronte di battaglia. Eccoci davanti alla porta della canonica: le suore, rifugiatesi dai padri, vedendoci bussare, si sono nascoste pensando a un’incursione. Poi, la gioia di rivederci. Indescrivibile. Non so dire di più. Un momento che ti fa sentire legato alla famiglia, da un legame divino.

Provvidenzialmente, ai vespri abbiamo pregato il salmo 19: “Ora so che il Signore salva il suo consacrato”. Il menù della sera era saporito come mai in questi giorni, ma soprattutto era dipinto dalla serenità sui volti dopo ore di terrore.

Mercoledì 21: Le attività si susseguono regolarmente in parrocchia.

Per noi saveriani di Goma è un giorno particolare: abbiamo ricordato padre Piero Sartorio, morto a Parma un anno fa. Abbiamo celebrato una Messa al pomeriggio, invitando i cristiani delle parrocchie vicine, dato che p. Sartorio ha vissuto una quindicina di anni a Goma. A causa del clima socio-politico non c’era molta gente. Eppure, ricordare un confratello come p. Sartorio, è stato un momento di grazia. Lui ha vissuto tempi di prigionia negli anni sessanta, in Congo, e da allora ha scoperto che l’indispensabile, nella vita è partecipare alla misericordia di Dio, aver fiducia in lui, poter servire Gesù in colui che ci è accanto e poter dire nonostante tutto come p. Sartorio: “Che gioia! Come è bella la vita!”.

Alla sera abbiamo visto e ascoltato alla TV il discorso del portavoce degli M23, fatto allo stadio di Goma davanti a una marea di cittadini: reagiscono contro il governo che non mantiene le promesse di creare infrastrutture per i cittadini e affermano che continueranno la loro marcia fino alla capitale per salvaguardare il Paese nella sua unicità e indivisibilità. Il nostro p. Piero Mazzocchin commentava: “Non capisco! Questi discorsi sono stati già fatti da altre persone. Purtroppo queste promesse hanno delle ripercussioni negative sulla gente che ne paga le conseguenze”.

Giovedì 22: Rientro a Bukavu.

Nessun battello si muove sul lago che collega le due città. Mi consigliano allora di fare il giro dell’oca: attraversare la frontiera, andare in Rwanda, passare per Kigali e arrivare a Cyangugu. Il bel tutto è durato 9 ore di autobus. La vita continua.

Spero che questo racconto non susciti in voi paura per la nostra situazione. È vero che non è facile comunicarvi gli avvenimenti in modo da non spaventare. Però posso assicurarvi che c’è prudenza nel nostro muoverci e che ci sono segni che mostrano che la situazione d’instabilità può migliorare. Lo speriamo con voi e con la nostra gente.

Termino con un altro ricordo: prima di partire da Ndosho, dopo la Messa, una signora mi allunga la mano dandomi una busta con un’offerta. Portava un bambino in braccio e suo marito era dietro di lei. “Veniamo a ringraziare il Signore. Temevamo che il nostro figlio non ce la facesse a camminare. Avevamo pregato molto per lui. Ora, a due anni, cammina bene ed è in salute”. L’offerta corrispondeva a mezzo salario mensile di un insegnante. Allora, mi chiedo: cosa potremo offrire al Signore, lui che ci fa camminare ancora?

Buon Natale a tutti e buon cammino di Avvento.

p. Faustino Turco, sx.


Foto: Archivio Comunità Teologia, PR.


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Pubblicato
14 Agosto 2017
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