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Nel 1967, cinquant’anni fa, sono stato ordinato presbitero dal vescovo saveriano Gianni Gazza. Eravamo 30 giovani. Di quei trenta, dieci sono morti, uno martire, p. Ottorino Maule. I restanti siamo sparsi nel mondo (alcuni hanno lasciato la congregazione).

Raccontare la storia di noi trenta, sarebbe un romanzo, emozionante e in parte drammatico. Mi piace, per questa occasione, condividere la mia testimonianza missionaria.

Tre anni a Taiwan, dialogando e ascoltando

Dopo l’ordinazione sono partito per Taiwan con, in tasca, due testi: di Teilhard de Chardin e del Fondatore. Teilhard aveva scritto: “Quale occasione migliore posso sperare ... per partecipare all’edificazione del futuro, di quella che mi si offre: confondermi nella massa in fermento dei popoli dell’Asia?”. E San Guido aveva detto: “In tempo non lontano il popolo cinese avrà forse la maggior influenza sopra l'equilibrio mondiale, che non potrà fare senza di lui”.

Io mi sentivo un privilegiato: il Concilio, terminato da poco, aveva detto che tutti i battezzati sono missionari, ma io ero missionario tra i cinesi(!), quindi in accordo col fine unico ed esclusivo del mio Istituto: il primo annuncio ai non cristiani. 

Sono rimasto a Taiwan tre anni: confesso che non ho battezzato, ma ho evangelizzato dialogando, ascoltando e pregando. Ho aperto e diretto un “ostello” per universitari; ho scritto un libro sulla Cina e... ho pianto, quando l’avamposto saveriano di Taiwan, mio primo amore, è stato chiuso.

In Brasile, accanto ai senza terra

Nel 1976 sono partito per il Brasile: dal paese più “pagano”, al paese più cattolico del mondo. Là un giorno un gruppo di papà mi ha chiesto di seguirli nel processo di “conquista” (o invasione) della terra. Qui si fa così.

Ho capito allora che il primo annuncio di Gesù è il Regno di Dio e si confronta con il sociale, perché consiste in un mondo riconciliato, senza latifondisti o esclusi.

Ho quindi deciso di sostenere la lotta dei senza terra, perché i poveri potessero seminare-raccogliere-sfamare la famiglia e vivere dignitosamente come figli di Dio.

L’esperienza a Cem Mondialità

Dopo 20 anni di Brasile, ne ho passati 12 in Italia, al Centro di Educazione alla Mondialità (CEM), per animare la scuola italiana con l’orizzonte della fratellanza universale nel dialogo tra le culture e le religioni.

Mondialità è il nome nuovo della missione”, ebbe a dire p. Domenico Milani, fedele al motto di San Guido: “Fare del mondo una sola famiglia”. 

In Amazzonia, l’opzione per i giovani

Nel 2008 sono tornato in Brasile, ma nella grande Amazzonia. In uno scenario splendido, la natura è violentata; le ricchezze sono contrabbandate verso il primo mondo; il popolo brasiliano vive i problemi con un misto di resistenza e conformismo, aspettando briciole, forse come eredità del lungo periodo coloniale.

In tempo di crisi, c’è fame, droga e sterminio della gioventù. Quando il vescovo mi ha chiesto di guidare la pastorale giovanile della diocesi (oltre ad essere parroco di una parrocchia-santuario), la mia opzione per i poveri è diventata opzione per i giovani.

Non siamo monocolore…

Qui, come ovunque, i giovani sono o alienati o sognatori, e questi ultimi hanno in Che Guevara il loro eroe. Con loro il mio dialogo è schietto: “Il nostro mondo dev’essere cambiato e lo cambieranno coloro ai quali non piace così com’è. Né a Gesù né a Che Guevara piaceva. Gesù ha creato una rottura in direzione al Regno, a costo di morire, ed è risorto ... Che Guevara non è risorto”.  

I giovani, incontrando Cristo, con stupore, diventano suoi collaboratori per l’avvento del Regno, ossia per una civiltà di giustizia, pace, fede e amore.

Insomma, quando pensate a noi missionari, non pensateci “monocolore”, ma “variegati”, impegnati per il Regno di Dio nei modi più diversi.

E pregate per noi.



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