C’è chi dice “No!”: gli obiettori di coscienza
In Ucraina, chi rifiuta il servizio militare e non va a combattere è considerato un traditore della patria, e viene perseguitato con condanne che possono arrivare dai 3 ai 15 anni, dopo che la Legge sull’obiezione di coscienza è stata sospesa in conseguenza della proclamazione della Legge marziale. Nel 2021 erano state più di cinquemila le dichiarazioni di obiezione di coscienza, con la domanda di svolgere il servizio civile alternativo. Ora quei giovani si trovano in un limbo legislativo. Se rifiutano la chiamata alla mobilitazione generale, vengono considerati disertori, con tutte le conseguenze previste. In Ucraina la situazione sta progressivamente degenerando sul piano dei diritti umani.
Il movimento degli Obiettori di coscienza russi ha documentato centinaia di casi di persone detenute nelle carceri per essersi espresse pubblicamente o per aver partecipato ad una manifestazione contro la guerra. Ciononostante gli attivisti nonviolenti russi stanno realizzando una campagna di incontri online in cui rispondono alle numerose richieste. Fanno circolare clandestinamente video contenenti istruzioni per evadere la mobilitazione e stanno anche utilizzando canali cifrati Telegram per consultazioni aperte: l’obiettivo è raggiungere più persone possibili che rifiutano di uccidere e partecipare a questa guerra.
La Bielorussia non è entrata formalmente in guerra contro l’Ucraina, ma ha sostenuto pubblicamente le azioni di aggressione della Russia. C’è una chiara consapevolezza che prima o poi Putin costringerà Lukashenko ad inviare un contingente in Ucraina per combattere al fianco di Mosca. Più di 20.000 giovani hanno lasciato il Paese e cercato rifugio all’estero, ma purtroppo l’Europa ha chiuso le porte e non riconosce loro lo status di rifugiati politici e la conseguente protezione. È un fatto gravissimo poiché questi giovani disertori, se estradati in patria, rischiano la pena di morte, secondo una apposita legge voluta da Lukashenko.
In Israele e Palestina la speranza di un futuro diverso può venire solo da quei movimenti che, nel conflitto, sanno creare ponti, confrontarsi con l’avversario senza concepirlo come nemico da distruggere. Aver abbandonato a sé stessi, non aver sostenuto i nonviolenti palestinesi e israeliani, i pacifisti, gli obiettori alle armi dei falchi di Israele e della Palestina, ha portato a questa esplosione violenta, che dà un colpo mortale al diritto di esistenza dello Stato di Palestina e vorrebbe annientare lo Stato di Israele. L’alternativa alla vendetta e alla rappresaglia può ripartire dai gruppi misti israeliani/palestinesi per la pace, dai parenti delle vittime delle due parti uniti dal dolore. È l’unica possibilità di salvezza.
La via d’uscita è nelle mani di chi romperà la spirale di odio, rifiutando la logica perversa omicida e suicida della guerra. Per fermare la guerra bisogna non farla. Per cessare il fuoco bisogna non sparare. È questa la grande forza della verità, che ci porta a sostenere coloro che nelle parti contrapposte fanno comunque il primo passo.