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In memoria di Dom Paulo Evaristo Arns (1921-2016)

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Il 14 dicembre 2016, a 95 anni, è mancato il card. Paulo Evaristo Arns, arcivescovo emerito di Sao Paulo (1970-1998). Così lo ha ricordato João Pedro Stedile, coordinatore nazionale del Mst: “Predicava: ‘In tempo di dittatura, Dio aiuta solo chi si organizza’. Quindi ci siamo organizzati. La maggior parte dei movimenti che esiste oggi, il Movimento dei lavoratori senza terra (Mst), il Movimento delle vittime delle dighe (Mab), il Movimento dei piccoli agricoltori (Mpa), la Commissione pastorale della terra (Cpt), il Consiglio indigenista missionario (Cimi) sono nati su ispirazione della sua saggezza”.

Durante il regime militare (1964-1985), “dom Paulo” (come veniva chiamato) era stato il leader – “intrepido”, come lo ha definito papa Francesco – di una Conferenza episcopale che aveva saputo difendere i diritti umani e svolgere un ruolo decisivo nel favorire il ritorno alla democrazia. Impegnato instancabilmente a rendere concreta “l’opzione per i poveri”, aveva sostenuto la teologia della liberazione, tanto da accompagnare nel 1984 Leonardo Boff a Roma per difendersi davanti alla Congregazione per la dottrina della fede. Anche in campo ecclesiale aveva sempre rivendicato libertà di discussione su temi controversi, per esempio esprimendosi a favore del superamento dell’obbligo del celibato per i presbiteri.

Vari saveriani lo hanno conosciuto e apprezzato a San Paolo, soprattutto nelle periferie della megalopoli e nelle favelas (non ultima la favela Heliópolis). Dom Paulo amava dire dei saveriani, soprattutto in occasione delle viste dei superiori maggiori: “Ho conosciuto e stimato i vostri confratelli nelle periferie della città. Quando abbiamo lanciato l’Operazione Periferia sono stati tra i primi a mettersi a disposizione, nella Zona Leste della città”.

 “Missione Oggi” ricorda questo grande pastore dell’America latina pubblicando un testo autobiografico dell’inizio del Duemila, in cui tra l’altro dom Paulo esprime tutta la sua pena per la divisione dell’arcidiocesi: “Quando la testimonianza si trasformò in martirio. L’esperienza di un vescovo” (in M. Fabri dos Anjos, a cura di, Vescovi per la speranza del mondo, EDB, Bologna 2001, pp. 223-227).


QUANDO LA TESTIMONIANZA SI TRASFORMÒ IN MARTIRIO, L’ESPERIENZA DI UN VESCOVO

DI PAULO EVARISTO ARNS  [1]

(testo tratto da M. Fabri dos Anjos (a cura di), Vescovi per la speranza del mondo, EDB, Bologna 2001, pp. 223-227.

Nulla avrebbe potuto contrariarmi tanto quanto la nomina a vescovo. Ancor più trattandosi dell’arcidiocesi di San Paolo. Oltre all’assoluta mancanza di preparazione, avevo i miei progetti di sacerdote e di insegnante. La convivenza di 10 anni con sette favelas mi aveva realizzato pienamente come francescano e i 27 anni di familiarità con lo studio dei santi padri mi avevano portato ad affidare alla carta le scoperte del tesoro della vita e della cultura dei primi secoli del cristianesimo. La metà della mia “esperienza” patristica, sia pure limitata, l’avevo trasferita, a macchina, sulla carta. Il mio sogno era quello di completare la donazione di me stesso al popolo di oggi e agli inizi del cristianesimo.

Soltanto l’appello insistente e l’incondizionata obbedienza francescana al papa e alla Chiesa, sull’esempio di san Francesco di Assisi, potevano portarmi a un cambiamento totale della mia vita. Invece di una promozione mi apparve un annientamento. La chiamata considerata divina annullò ogni calcolo umano. Per ritrovare l’equilibrio nei miei piani, ho impiegato un mese, in un ritiro totale, tra le montagne di Petrópolis, meditando i testi conciliari, che in parte avevo tradotto e che tutti avevo gustato alcuni mesi prima.

***

Da qui, la prima risoluzione di dedicarmi, subito all’inizio della mia missione di vescovo ausiliare, per quattro anni, alla “porzione del popolo di Dio affidata a un vescovo”. Grazie a Dio questo popolo era formato dalla porzione meno protetta: l’unica grande favela di San Paolo nel 1966, che cominciava a essere trasferita in un terreno donato da religiose e assistita da volontari attraverso un grande mutirão. [2] 

Ho potuto unirmi subito al lavoro di una religiosa di grande dedizione ed esperienza e di alcuni amici laici del posto. Senza un proprio mezzo di trasporto, senza risorse finanziarie, ma con l’entusiasmo irresistibile della popolazione. Inaugurammo case non terminate, un ambulatorio medico, un centro sociale ancora in costruzione, una chiesa senza intonaco e soffitto.

Un mondo nuovo non terminato, capace di suscitare creatività e di camminare di speranza in speranza.

Un’iniziativa analoga verrà promossa anche nei primi mesi dopo la mia elezione ad arcivescovo. Lo Stato del Ceará viveva e moriva senz’acqua. I sacerdoti di San Paolo concordarono che tutto quanto fosse stato raccolto nella prima Campagna della Fraternità fosse investito in ferramenta e utensili per i nostri fratelli del nord-est. Preghiere e aiuto materiale dovevano unirsi alle proposte del popolo sofferente e non solo nella nostra immaginazione. Pur non avendo raccolto il sufficiente per interventi rilevanti, la generosità ci ha uniti alla popolazione che aveva più bisogno.

***

Stavamo iniziando la prima riunione del consiglio presbiterale eletto da poco, quando entrò l’arcivescovo di Manaus, dom João. Egli disse: “L’arcivescovo di San Paolo è stato il primo a rispondere che sarebbe contento di aiutare la prelatura di Itacoatiara, il cui vescovo è ammalato”.

Dopo i necessari contatti, abbiamo mandato 17 missionari volontari, con l’impegno di continuare la collaborazione per dieci anni e a nostre spese. Per cinque volte sono potuto andare a confortarli e a cercare nuovo entusiasmo per una Chiesa che diventò “sorella”, come avrebbe poi detto il progetto dei vescovi del Brasile.

Da quel momento, ogni mese si riunivano i trenta – più tardi cinquanta – coordinatori responsabili di diverse parrocchie (da otto a dodici) e di centinaia di luoghi di culto. Quando essi suggerirono di accogliere i migranti in cerca di lavoro e di mezzi per sopravvivere, giungemmo alla conclusione che l’arcivescovo avrebbe potuto vendere il palazzo arcivescovile con i suoi 11mila metriquadri di giardino e licenziare i trenta e più servitori. Di fatto, poi, avemmo maggiori difficoltà di quanto pensavamo: pur avendo ricevuto subito il permesso da Roma, il sindaco, i consiglieri comunali e altri obbligarono l’arcivescovo a presentare il piano alla televisione. Quelli che prima erano contrari, adesso si manifestavano a favore. In questo modo è stato possibile costruire circa 1200 centri comunitari, che servivano per la catechesi e le celebrazioni eucaristiche, ma – e qui stava il segreto – erano costruiti dal popolo senza lavoro che ne curava anche la manutenzione.

Vi sono stati formati molti ministri della comunità e vi esercitarono la carità, alla maniera della gente semplice e secondo le indicazioni della Chiesa.

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Il papa Paolo VI manifestò sempre grande stima per San Paolo. Come anche Giovanni Paolo I e, soprattutto, Giovanni Paolo II, anche se le loro curie non sempre ci compresero.

Un giorno Paolo VI si alzò dalla sua poltrona e andò alla finestra. Indicando la gente in piazza San Pietro, disse all’arcivescovo di San Paolo: “La sua città cresce vertiginosamente e la gente deve conoscere il suo vescovo. Lei dovrebbe avere più ausiliari, che possano stare più vicino alla gente”. E aggiunse una frase che non avrei mai dimenticato: “Il vescovo è il sacramento della Chiesa. Chi conosce e ama il vescovo, conosce e ama anche la Chiesa. Appena può, visiti altre metropoli e poi mi riferisca com’è che fanno”.

Formammo, così, un “collegio” di undici vescovi, che divennero strumenti dello Spirito per santificare, evangelizzare e guidare pastoralmente la città di San Paolo. Con loro formammo un corpo solo e ci completammo in tutti i sensi. Sono stati loro a proporre i piani biennali e tutte le “pastorali” che hanno orientato le linee di azione della Chiesa del Brasile, dalla liturgia fino all’azione sociale.

Furono il sostegno di migliaia di ministri, a cominciare dai sacerdoti, suore e laici che lavoravano nelle favelas o sperduti per le strade. Nessuno ci animò tanto quanto il santo padre. Anzi, l’idea era sua.

***

In queste ore in cui i laici si dedicavano tanto alla Chiesa, abbiamo potuto vedere come quella porzione del popolo di Dio” era ascoltata e guidata dallo Spirito Santo. Non si è mai letto tanto e con tanto gusto la sacra Scrittura come nelle riunioni dei poveri che discutevano i loro problemi. Sia il testo sacro che i sussidi fornivano la base per il lavoro spirituale e materiale. In grandi assemblee il popolo proponeva le priorità, che normalmente mettevano in rilievo l'importanza delle comunità di base, la lotta per salari migliori, la difesa dei diritti fondamentali della persona umana, soprattutto il diritto alla salute e all'educazione dei più emarginati.

Un amico influente di altra fede religiosa giunse a dire in piena assemblea: “Dobbiamo unirci, perché partiamo tutti dallo stesso amore alla Bibbia”. Sorsero, così, i primi sette piani comuni dei cristiani presenti a San Paolo.

Di fatto, però, lo Spirito Santo, come al solito, ci ha sorpreso. Mentre, all’inizio, i sacerdoti ci interrogavano sul loro futuro, dopo alcuni anni siamo stati sorpresi da numerose vocazioni: più di cento teologi nei nostri ritiri annuali si preparavano per il lavoro pastorale, la preghiera e lo studio. Amici del popolo, uniti dal vangelo, non sarebbero mancati ai fratelli che venivano da tutte le parti. È stata una pena la divisione che l’arcidiocesi ha subito alcuni anni più tardi, senza il coinvolgimento della popolazione e dei principali responsabili in loco.

***

Le celebrazioni meriterebbero una parola speciale. La vita quotidiana trovava nella Conferenza episcopale del Brasile e negli avvenimenti di ogni giorno uno stimolo al rinnovamento. Tutto il popolo era ed è convinto che Cristo, il capolavoro dell'amore del Padre, deve occupare il centro di tutte le nostre aspirazioni. Il capitolo VI del Vangelo di san Giovanni, come pure la Settimana Santa, tornavano a fare della massa un popolo di Dio.

Riuscivamo a riunire il mondo così differenziato di San Paolo solo quando preparavamo e celebravamo l’eucaristia.

Il nostro passato – senza formazione e senza ministri – non è mai stato propizio a una formazione liturgica. Fortunatamente, il concilio ha messo la Parola di Dio al centro di ogni credibilità. L'eucaristia, come per Gesù nel capitolo VI di Giovanni, anche per noi continua a essere una sfida pastorale e persino apostolica.

***

Termino ricordando che la Chiesa ha sofferto molto assieme al popolo. Quando l’arcivescovo ha fatto l’ingresso in diocesi, nel 1970, solo a San Paolo si trovavano in prigione 14 religiosi e centinaia di laici. Le loro sofferenze – imprigionamenti arbitrari, torture, uccisioni, esili e scomparse – ci hanno coinvolti tutti, specialmente noi vescovi. Calunnie, minacce, vendette, tradimenti, non potranno mai essere calcolati. Superarono ogni misura e sono nelle mani di Dio. Il libro Brasil nunca mais ne riferisce una piccola parte. La porzione del popolo di Dio aumentò fino a rendere la Chiesa del Brasile responsabile per tutta la nazione.

È stata una burrasca in alto mare. La testimonianza si è trasformata in martirio.

Verranno tempi nuovi sotto l'azione dello Spirito di Dio, che ci porta a Gesù Cristo e al Padre, mentre costruisce la comunità e ispira sempre di nuovo l'entusiasmo missionario.


[1] Francescano, cardinale, arcivescovo emerito di San Paolo, dottore in patrologia.

[2] Mutirão è lo scambio di lavoro fatto in comune, che nasce dallo scambio d’opera con cui i contadini affrontavano i grandi lavori della campagna; nelle favelas permette di costruire case e gestire le necessità della vita con prestazioni reciproche in atteggiamento volontario e solidale.



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